Le associazioni femminili novaresi – Sabrina Contini

Sono stata invitata a intervenire in questa sede avendo condotto ormai quasi due anni fa insieme a Paola Novaria l’attività di censimento degli archivi delle donne che, nell’arco di sei mesi, ci aveva permesso di indagare nelle otto province piemontesi la presenza femminile negli archivi istituzionali e non offrendo con lo strumento della banca dati, un quadro d’insieme della situazione riguardo alla conservazione e alla valorizzazione degli archivi riguardanti la storia delle donne.
Dalla banca dati è emersa nell’ambito piemontese una realtà più o meno variegata di memorie femminili che, fortunatamente, possiamo ora indicare come salvate perché prima di tutto sono state individuate e inventariate. L’individuazione non è certamente sufficiente e ad essa andrebbe affiancata un’adeguata conservazione e soprattutto la giusta valorizzazione, come questo convegno si propone di fare. L’attività di censimento aveva, per quanto mi riguarda, toccato le province di Alessandria, Vercelli, Biella, del Verbano-Cusio-Ossola e, appunto, Novara.
Ed è veramente una soddisfazione vedere che i numerosi interventi che si sono susseguiti in questa giornata si sono occupati di figure femminili o di archivi che si possono ritrovare nel censimento, ma soprattutto dimostrano la ricchezza di archivi che caratterizza il novarese e l’impegno profuso da singoli studiosi e dalle realtà istituzionali locali, in particolare penso all’Archivio di stato e all’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea, nella conservazione e nella valorizzazione di queste memorie che altrimenti andrebbero disperse.
Già durante il censimento avevamo notato una rilevante differenza nella quantità e qualità della documentazione raccolta, laddove gli enti, come nel caso novarese, riescono a diventare veri e propri “catalizzatori” per la cultura locale e nel farlo sono attenti alla prospettiva di genere. Essi, cioè, si impegnano nell’ambito delle loro attività non solo nell’individuazione e conservazione di fondi già costituiti, ma anche nella ricerca e nella raccolta di testimonianze e memorie femminili e, dunque, nella creazione di importanti nuclei di fonti per la memoria futura per evitarne la dispersione.
Durante la ricerca e in particolare al momento dell’individuazione dei fondi da inserire nel database accanto alla presenza dei grandi archivi istituzionali e alle fondazioni era emersa come significativa la realtà forse ancora poco esplorata dal punto di vista storiografico, dell’associazionismo femminile, che cercherò di approfondire nel mio intervento. Il primo dato, emerso a livello regionale ma che la realtà novarese non fa eccezione, a questo proposito è che proprio questi archivi sono quelli più a rischio di dispersione.
Molto spesso, infatti, ci siamo trovate di fronte a situazioni  in cui non era presente un vero e proprio archivio dell’associazione, ma le carte risultavano disperse fra le donne che avevano ricoperto, negli anni, la carica di presidente o di segretaria. Spesso le associazioni individuate non avevano una sede oppure l’hanno più volte cambiata e, purtroppo, ogni cambio di sede ha determinato occasioni di dispersione. Per non parlare poi di una forma tutta particolare di associazionismo femminile come i collettivi femministi degli anni ’70 che presenta molte difficoltà dal punto di vista della raccolta di documentazione che li riguardino: molti collettivi femministi, conclusa l’esperienza della contestazione, si sono sciolti e le partecipanti hanno conservato i prodotti del loro lavoro (penso ai volantini, ai famosi ciclostili, ai manifesti etc.), come ricordi personali, a cui sono legate intimamente perché parte del proprio percorso di crescita, e giustamente hanno difficoltà a separarsene. Un’altra difficoltà è sicuramente data dal fatto che molte delle attività legate al movimento femminista in realtà non producevano per forza  documenti scritti…penso alle riunioni di autocoscienza, che trovano la forza più sullo scambio vivo delle parole e del dialogo tra donne e raramente, forse mai, venivano verbalizzate.
Nonostante le difficoltà, è stato possibile però individuare alcuni nuclei archivistici nel novarese che potrebbero essere di grande supporto alla ricerca storiografica qualora si volesse approfondire la realtà dell’associazionismo femminile.
Non mi soffermo sui fondi riguardanti varie forme di associazionismo che hanno interessato le donne novaresi nella prima metà del ‘900 presenti in archivio di stato che in parte sono già stati presentati (SPERIAMO!!! Associazione madri e vedove di guerra 1923-1955, sindacato ostetriche1931-1957, movimento democratico ragazze novaresi 1949,  circolo donne professioniste1938-1940, fasci femminili 1927-1944). Accanto a queste sono da segnalare anche una forma di associazionismo che affonda le sue radici negli ultimi scorci del XIX secolo, cioè quello delle Società di mutuo soccorso, che nascevano in particolare tra le operaie. Riguardo a questa realtà, la presenza sul territorio novarese del “Centro per lo studio e la documentazione delle Società di mutuo soccorso” , una onlus  presente a livello regionale e con una delle sue sedi operative a Borgomanero, rappresenta una realtà istituzionale a cui fare riferimento ma dove al momento del censimento, quasi due anni fa, era conservato purtroppo solo uno statuto della sezione femminile della società degli operai di Borgomanero.
Passando agli anni del secondo dopoguerra segnalerei due significative realtà associative di ambito cattolico: l’Archivio delle Dame di san Vincenzo conservato presso l’Istituto storico e quello del Centro italiano femminile, del quale alcuni materiali sono conservati presso l’Archivio Diocesano altri sono ancora in possesso dell’associazione ancora attiva. Riguardo a questo secondo archivio esso rappresenta un esempio delle difficoltà di conservazione alle quali accennavo all’inizio del mio intervento. L’associazione è, infatti, presente sul territorio fin dal 1945, ma purtroppo i diversi traslochi di sede effettuati nel corso degli anni hanno contribuito a una dispersione del materiale archiviato, tra cui verbali delle assemblee, registri delle iscritte e materiale relativo alle iniziative organizzate negli anni. L’attuale materiale conservato, per ora sistemato a casa della vice-presidente in scatoloni in attesa di trovare una migliore collocazione, risale al massimo alla fine degli anni ’70, ma non si conosce esattamente la tipologia di documenti conservati. Sicuramente conservano verbali delle riunioni, anche se non degli ultimi anni, testimonianze raccolte negli ultimi anni delle prime iscritte e fondatrici del CIF novarese, tra cui l’ottantenne Mittini Cesarina e Giuseppina Roggia (detta Pinin) ora defunta, articoli di giornali in cui comparivano i necrologi delle iscritte venute a mancare nel corso degli anni, e sulla partecipazione ai dibattiti recenti sulla legge 194, elenchi delle socie con l’indicazione delle professioni, libri, opuscoli del Cif nazionale.
Per quanto riguarda le carte dell’organizzazione femminile storicamente nata più o meno negli stessi anni del CIF, mi riferisco all’Unione donne italiane, la sezione novarese è attiva fin dagli anni ’60, conserva il materiale solo dagli anni ’70  in poi presso la signora Settembri, membro anche della commissione pari opportunità in provincia di Novara. L’UDI si riunisce presso il Centro servizi volontariato della provincia il mercoledì sera, conta circa 35-40 iscritte ed è tuttora attivo nell’organizzare eventi sulle tematiche femminili e in occasione dell’8 marzo. L’archivio, non ordinato e inventariato, raccoglie materiali vari quali volantini, relazioni, documenti delle campagne storiche, relativi alla formazione della commissione femminile, fotografie, manifesti (anche prima degli anni’70), carteggi con le Asl e le istituzioni per la questione dei consultori, elenchi delle iscritte, articoli di giornali. Per altra documentazione, di cui hanno bisogno durante l’organizzazione degli eventi o delle iniziative fanno riferimento all’archivio centrale dell’UDI a Roma, con cui sono in contatto. L’UDI era una realtà molto significativa anche nella provincia per esempio ad Arona dove attualmente non è più attivo, anche se molte delle ex-socie sono confluite nell’attività della Consulta femminile comunale. Tra queste una segnalazione merita la  signora Mirella Valli  che conserva molta documentazione della sua esperienza personale di attività all’interno della sezione locale dell’UDI, e della Consulta femminile comunale che promosse nel 1976 e della quale è tuttora presidente. Essendo stata per anni presidente della sezione UDI di Arona è molto probabile che quello che è in suo possesso  possa essere un utile integrazione alla documentazione del gruppo, che non è chiaro dove sia finito. I documenti sono compresi in un arco cronologico compreso circa tra i primi anni ’50 e i giorni nostri e comprendono: volantini, articoli di giornale, la raccolta pressochè completa della rivista dell’UDI “Noi donne”, la ristampa della Storia dell’Unione donne con i numeri della rivista degli anni 1944-1945, fotografie, quaderni di appunti della partecipazione alla Scuola nazionale femminile “Villa Irma Bandiera” dell’UDI frequentata a Genzano vicino a Roma nell’ottobre 1953 per educatrice d’infanzia, il relativo diploma, cartoline, un opuscolo a cura dell’UDI sul XI congresso dell’Unione donne italiane tenutosi a Roma dal 20-23 maggio 1982, materiali vari sulle diverse campagne e manifestazioni svolte durante i referendum.
Riguardo alla consulta femminile comunale di Arona, della quale Mirella Valli (eletta per il partito comunista) fu promotrice insieme alle colleghe Bazzica Elisa, democristiana, e Lucia Invernizzi, socialista, e della quale fu anche prima presidente ed è tuttora presidente in carica, sono conservati diversi documenti, alcuni in copia, come il verbale del consiglio comunale in cui è stato approvato lo statuto in data 29 luglio 1977.
La consulta femminile comunale di Arona, una delle prime ad essere istituita dopo la legge regionale del 1976,  si è occupata negli anni di diversi temi di interesse delle donne e di alcune iniziative tra cui la promozione dell’Università della Terza età, il sostegno al punto di primo soccorso di Arona, i regolamenti dei consultori, la gestione dei centri estivi, incontri e dibattiti sul tema dell’immigrazione, la promozione di mostre come quella promossa dalla commissione pari opportunità provinciale “Donne che abitano il mondo”, e spettacoli teatrali, iniziative per l’8 marzo e altro. Di gran parte dell’attività, soprattutto di quella meno recente, Mirella Valli ne conserva la memoria originale o in copia, per la parte più recente invece è necessario fare riferimento alla sede comunale.
Passando agli ’70, va segnalato in primo luogo che è stato impossibile individuare anche solo piccoli nuclei di documenti appartenenti a collettivi femministi. Da alcune interviste è emerso però un forte legame dei collettivi con un’associazione ancora oggi presente a Novara, cioè l’AIED, Associazione italiana educazione demografica, che è un’associazione laica “dalla parte delle donne”, presente in molte città italiane, che gestisce dei consultori in cui è possibile avere aiuto ed informazioni sulla salute, la sessualità le leggi che tutelano la persona e la famiglia. L’associazione, nata a livello nazionale nel 1953, è presente a Novara fin dal 1972 ed è l’unica sede in Piemonte. Si è fortemente impegnata a favore degli anticoncezionali (ultimamente della pillola del giorno dopo), della legge del divorzio, della legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza e per un’educazione sessuale nelle scuole basate sul rispetto della persona e sulla libertà delle scelte. Conserva l’archivio della sua attività nella sede di via Magnani Ricotti 10, che dal 1992 è intitolata a Lidia Ferrari Sandri,  una delle fondatrici della sezione novarese. Tra le serie che si potrebbero individuare ci sono le cartelle  personali delle donne che si sono rivolte al consultorio (sottoposte al vincolo della privacy)  dove compaiono i dati della donna, l’età, lo stato coniugale, il lavoro e il sistema di contraccezione utilizzato, anche se le più vecchie sono state eliminate; le statistiche degli interventi del consultorio nei vari ambiti di azione; documentazione sull’interruzione di gravidanza; documentazione delle varie iniziative di divulgazione e formazione (convegni, conferenze, etc); pubblicazioni AIED sulla contraccezione e altro.
Queste sono alcune delle associazioni che durante l’attività di censimento sono state contattate e dalle quali è emersa la presenza di materiale archivistico di una certa rilevanza; molte altre, tra cui alcune nate negli anni ’90 e ancora oggi attive, sono state molto disponibili a rispondere al progetto, ma purtroppo non avevano materiali a loro disposizione oppure hanno segnalato poche carte conservate a livello personale che andrebbero unite a quelle delle compagne di associazione per poter costituire un fondo significativo.
La speranza, a questo proposito, con cui mi avvio alla conclusione, è che molto si possa recuperare contattando, attraverso per esempio organi istituzionali come le commissioni pari opportunità o le consulte, donne che conservano nel loro spazio privato la memoria della loro militanza nelle varie associazioni. Una memoria non solo fatta di ricordi e racconti orali, che varrebbe certamente la pena di registrare prima che sia troppo tardi, ma anche di documenti, fotografie, volantini, riviste, verbali, appunti dei corsi, bozze e schemi di progetti, carteggi con gli enti pubblici e con altre associazioni: tutto ciò che insomma costituisce la vita di un’associazione.
Il rischio è che altrimenti, come già molte donne oggi sembrano sempre più “invisibili”, incapaci di rendersi conto dell’importanza dei propri diritti e di difenderli, a detta per esempio di Mirella Valli, con cui ho parlato di recente preparandomi per questo intervento, allo stesso modo diventino invisibili in futuro il ruolo fondamentale che svolgono con impegno le associazioni femminili nell’ambito della società civile.