Arte e letteratura per l’infanzia: le sperimentazioni di Elve Fortis de Hieronymis tra Munari ed Einaudi. Alcuni appunti – Roberto Cicala*

«Il giorno 5 uscente settimana mi sono incontrata a Milano con il signor Munari che ha preso in esame in miei lavori». Così, in maniera laconica ma precisa, si apre la lettera che segna la prima testimonianza di collaborazione tra Elve Fortis de Hieronymis e la casa editrice Einaudi.

La lettera mette subito in evidenza la qualità del lavoro dell’autrice, visto che viene accolto da una casa editrice prestigiosa, ma pone in luce anche la capacità e la generosità intellettuale del mediatore che rende possibile il rapporto, quel piccolo genio di Bruno Munari che è, come la novarese, contemporaneamente artista, illustratore e scrittore, un po’ come una altro grande della nostra cultura artistica a livello internazionale, Emanuele Luzzati, che non a caso ha avuto occasione di ricordare, in un’intervista video di Vanni Vallino, il suo incontro con la stessa Elve ad Albissola Marina negli anni che vanno dal ’63 al ’66, in cui la de Hieronymis insegna al liceo scientifico di Savona e approfondisce il suo interesse per la ceramica. Frequentando il Pozzo della Garitta, un antico laboratorio di ceramica. Ha ricordato Luzzati: «Elve era anche lei un frequentatrice, si stava insieme, si lavorava serenamente e io credo che c’entrasse quell’atmosfera. C’era un ambiente famigliare e a capo c’era Bianco. Un personaggio straordinario che raccontava sempre storie di Albissola dei tempi antichi confondendo il ’900 con il ’700; e poi c’era questo artigiano di una volta che creava le basi su cui noi poi lavoravamo ed era sempre allegro. Ecco, in questo clima era facile creare con gioia: perché quello che io vedo è la gioia del creare, io non penso di fare un’opera d’arte, io creo. Poi, se quello che faccio serve a qualcuno, bene. E anche Elve credo che lavorasse così».

Elve nasce il 17 gennaio del 1920 a Città Ducale, un paese della provincia di Rieti e si trasferisce a Novara nel 1944 dopo il suo matrimonio con Federico Fortis, bella figura di geometra e sportivo, e subito inizia a insegnare (dal 1967 e per un triennio al liceo scientifico di Borgosesia, in provincia di Vercelli, in seguito presso l’Antonelli di Novara sino al 1977, quando decide di abbandonare definitivamente l’insegnamento per dedicarsi soltanto alla letteratura per l’infanzia come scrittrice professionista). Si può dire che per lei educare all’arte è lo stesso che seguire i suoi percorsi di artista, in un crescendo che la porta a specializzarsi nel campo dell’illustrazione per bambini.

Un momento di formazione ragguardevole per quanto concerne la sperimentazione e la conoscenza del mondo dell’editoria per l’infanzia è rappresentato dal periodo di collaborazione al “Corriere dei piccoli”, negli anni ’70. Questa fase professionale e creativa, studiata per la prima volta da una recentissima tesi di laurea della mia allieva Barbara Cassinari discussa presso l’Università Cattolica di Milano, è un’esperienza fondamentale per la scrittrice, che sperimenta, nelle rubrica del settimanale, molte delle creazioni poi inserite successivamente, con alcune varianti, nei suoi libri. Elve è così una delle protagoniste degli anni d’oro del celebre giornalino. La direzione del giornale, prima di Alfredo Barberis e poi di Rinaldo Pellegrini, è molto intraprendente, coinvolgendo collaboratori del calibro di Gianni Rodari e Mino Milani, con i quali la de Hieronymis entra in contatto ricevendone un decisivo arricchimento culturale. Lo spirito di continuo rinnovamento editoriale che contraddistingue le pagine del settimanale per bambini si avverte soprattutto nelle rubriche: una delle sue s’intitola “I nuovi giochi da ritagliare”, con un titolo semplice ma molto importante.

Negli anni ’70 inizia a collaborare anche con vari programmi per ragazzi della Rai: in particolare con “GRGioca” e “Puoi provarci anche tu” nel ’74, mentre nello stesso anno entra a far parte dello staff per i programmai per ragazzi della Televisione della Svizzera italiana, dove nel ’75 collabora a “Cerca e fruga qui c’è la lattuga”. Nella stagione ’77-’78 intraprende un’esperienza televisiva anche in ambito locale, tra le prime, Tele Basso Novarese, dove realizza un programma per ragazzi chiamato “Smack”. La trasmissione è pensata come un laboratorio aperto in cui i bambini sono totalmente protagonisti: sia nelle presentazioni che negli spazi televisivi. I temi sono, per esempio, il circo o la musica, ma viene anche organizzato un concorso di fiabe. L’autrice si dispone generosamente a creare i giochi con i piccoli, ripresa dalla telecamera dietro un tavolo con le sue immancabili forbici in mano.

È dentro questo contesto biografico e professionale che, poco prima, nell’estate del ’72, risale il rapporto di collaborazione tra la Fortis e l’Einaudi, quando l’autrice ha già pubblicato quattro libri con la Sei di Torino, tra cui La tiritera del buon dì e Storie di preistoria. Le testimonianze della corrispondenza tra l’autrice e la casa editrice torinese di via Biancamano sono conservate nell’archivio storico custodito presso l’Archivio di Stato di Torino. La prima lettera è datata 7 luglio 1972 ed è spedita dalla scrittrice a Paolo Fossati. È dattiloscritta su carta bianca, non intestata; in essa si fa riferimento all’intenzione di Munari di inserire Pic, storia di un riccio, nella sua collana innovativa “Tantibambini”, pubblicata dal ’72 al ’78 cercando di coltivare lo stupore per le scoperte, stimolare l’immaginazione, aprire la mente ai nuovi mezzi di conoscenza e di espressione. Il formato può ricordare quello degli albi ma Giulio Einaudi voleva una collana popolare che costasse poco quindi la confezione è in brossura, senza la tipica copertina cartonata rigida che avrebbe aumentato il prezzo. Una lettera di risposta testimonia la volontà di pubblicazione da parte dell’Einaudi e la necessità di chiarire la questione della cessione di diritti con altre case editrici, poiché – come nel caso di Pic – capita che Elve pubblichi prima all’estero e poi in Italia.

In una lettera del 22 giugno 1978 indirizzata al direttore editoriale della collana “Gli struzzi” scrive: «Le mie illustrazioni sono eseguite prevalentemente a collage. L’uso abituale della carta manipolata con forbici e colla mi ha portato poco alla volta a costruire figure tridimensionali stimolate in questo dalla richiesta di periodici per bambini». Oltre al “Corriere dei piccoli” cita anche “Miao”, pubblicazioni che dedicano un certo spazio ai giochi da ritagliare e costruire. Prosegue: «in seguito ho scoperto le molte forme tridimensionali pronte e reperibili tra i materiali di scarto che mi sono divertita a trasformare in giocattoli e oggetti curiosi».

Sono citazioni autobiografiche imprescindibili perché Elve comincia a lavorare anche sui materiali di scarto e recupero, facilmente reperibili in casa, come finora non era stato fatto da nessuno. Molte di questi giochi, esemplificati nelle fasi di esecuzione, sono stati poi inseriti in noti programmi televisivi per bambini, oltre a quelli già citati, fino ad oggi, come quello disneiano “Art Attack”, che è spesso una messa a colori sullo schermo televisivo, o sulle pagine patinate del mensile omonimo, di una serie di creazioni a suo tempo proposte da Elve Fortis de Hieronymis ? alcune davvero simili ? tratte da “Miao”, dal “Corriere dei piccoli” e poi da libri tuttora ristampati come Così per gioco.

Quest’ultimo titolo viene approvato da Einaudi l’anno successivo alla lettera citata in apertura e presentato, con uno stand allestito appositamente alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, la manifestazione internazionale più importante per la letteratura per l’infanzia. Tanto che il 13 aprile 1979 Agnese Incisa, responsabile dell’ufficio diritti dell’Einaudi, scrive: «Gent.ma Sig.ra Fortis, sono lieta di mandarle finalmente una copia vera e propria di “Cosi per gioco.” Al ritorno da Bologna abbiamo informato i nostri agenti delle richieste di edizioni ricevute alla fiera da un editore francese, uno tedesco e da uno spagnolo. La informeremo se, come mi auguro, riceveremo richieste ufficiali di traduzioni».

Per comprendere la novità del libro è opportuno soffermarsi sulle prime righe: «Cosi per gioco si possono fare tanti lavori in casa o a scuola, quando si è stanchi di studiare, di giocare, di leggere. Quando fuori piove, quando ci si annoia. Così per gioco si può inventare un giocattolo e poi altri ancora tutti diversi, creati con le nostri mani, magici e belli, diversi da molti giocattoli troppo veri e troppo finti che si comprano nei negozi. Così per gioco è un’antologia di idee e gioco realizzate e in parte sperimentate direttamente con i bambini. Raccolti in volume perché altri bambini possano avere una vita pratica per le attività manuali e perché gli adulti, i papà, le mamme, gli insegnanti si sentano invogliati a maneggiare forbici, colla e colori non solo per dovere di assistenza verso i più piccoli ma per il piacere di fare insieme (uniti grandi e piccini nel gioco) e di dare forma ad un’idea». Per Elve il libro non è un oggetto passivo da leggere o soltanto adatto all’apprendimento, ma diventa un laboratorio attivo per imparare a fare. Il libro, per questa sua particolarità, ha infatti un notevole successo, con giudizi critici lusinghieri. Sul “Corriere della sera” Giulia Borgese parla di «un artigianato antico e divertente», mentre su “Tuttolibri” Ferdinando Albertazzi accenna a una sorta di «affascinante cappello a cilindro da cui grandi e piccini possono estrarre le indicazioni per fare dei giochi insieme».

Gli anni ’80 vedono la collaborazione anche con la casa editrice La Coccinella, nota per i “libri con i buchi”, cioè gli albi cartonati e sagomanti: anche in questo caso Elve entra in un filone molto innovativo, con titolo come Una sera al circo, Cappuccetto rosso, In riva al mare… Nel frattempo però la passione artistica che l’autrice continua a praticare, parallelamente alla scrittura e realizzazione dei libri, riceve nuove gratificazioni. Espone anche in Giappone, dove Elve manda due suoi quadri.

Nel 1989 esce, ancora per Einaudi, il suo capolavoro, I viaggi di Giac: pubblicato nella collana “Gli struzzi”, racconta la storia di un omino di carta ritagliato da un giornale in un giorno di pioggia, che si avventura in un mondo fatto di punti, linee, cerchi, quadrati e colori, per giungere infine alla scoperta della pittura del ’900. Numerose sono le recensioni entusiaste di un libro tuttora ristampato e letto in molte scuole materne ed elementari.

Per comprendere l’originalità dell’opera sono state consultate, per prima da Barbara Cassinari, le carte dell’archivio personale oltre a quelle dell’Einaudi e confrontando i manoscritti con gli appunti trovati in varie cartelle è stato possibile ricomporre il percorso genetico del libro.

La prima documentazione è offerta da una cartella rossa trovata per caso tra le carte, conservate prima dal marito e poi dal figlio: sulla copertina si legge un interessante appunto: «Il punto di partenza… c’era una volta un punto… una volta era un punto». La seconda fonte reperita nell’archivio personale di Elve è un’agenda blu del 1983: sulla copertina presenta un adesivo bianco incollato sulla parte destra recante la scritta La copia manoscritta, dove all’interno si leggono annotazioni a partire da alcuni fogli scritti in biro blu, come «Punto» da gennaio-febbraio, «linea» dal primo marzo, «quadrato» dal primo maggio, «cerchio» dal primo luglio e così via. Sotto la data 13 gennaio, nella prima pagina scritta dell’agenda, è redatta la Filastrocca di Puntinia che poi troveremo nell’edizione dei Viaggi di Giac, scritta in biro nera come se fosse stata ricopiata in bella dopo averla riscritta più volte. La filastrocca sembra risultare la base di partenza del primo capitolo del futuro libro: «Io sono una stella lontano nel firmamento/ un granello di sabbia portato dal vento/ una lentiggine sul tuo sanino/ un segno di biro piccino piccino/ io sono il punto punto puntino per tutti quanti grandi e piccini…» Questa versione vedrà ancora delle modifiche prima della stampa.

È importante notare che in data 15 gennaio si legge: «Titolo: Era un piccolo punto oppure C’era una volta un punto». L’autrice sta infatti pensando a qualcosa legato all’idea del punto e cerca il modo migliore per trasmetterla ai bambini. Così tra le prime proposte di titolo non compare ancora il personaggio di Giac; anzi sembra essere soltanto il punto il vero protagonista. Le pagine più interessanti dell’agenda risultano essere tra 19 e 20 gennaio, in cui Elve lavora ad inventare, costruire e collegare tutto ciò che è possibile nella lingua italiana rispetto al concetto di punto. Possiamo quindi definire la tecnica di scrittura di Elve come una sorta di flusso di coscienza: una mente che scrive sulla carta lasciando scorrere liberamente i pensieri. Il 4 febbraio si legge sull’agenda, per la prima volta, il nome di Giac. È scritto tra le prime righe in un testo con molte cancellature in cui si riesce a interpretare «Giac riaccompagna Puntolino», ma non sono chiari tempi e motivazioni che hanno portato la modifica del protagonista, anche perché non è noto se gli appunti analizzati sono stati scritti in modo continuativo o con determinati intervalli.

È possibile però completare il percorso iniziato alla scoperta dell’origine del personaggio di Giac («Giac-omino») grazie all’analisi di un foglio singolo trovato nell’archivio personale dell’autrice in un altra cartella, di color blu. Rappresenta un piccolo riassunto che mette in fila tutte le idee che le sono venute. Si legge: legati alla sua natura cartacea. La vicenda inizierà quando Giac incontra sulla pagina di un libro un punto, che si mu«Il protagonista della storia è Giac-omino. Un omino ritagliato nella carta. Aver scelto un pupazzetto di carta mi permette di entrare a giocare con il mondo dei segni. Un mondo progettato da esplorare e da proporre in modo divertente al bambino. In seguito le caratteristiche fisiche del personaggio mi sono venute in aiuto perché mi hanno dato lo spunto per eventi ove, parla e diventa a sua volta un personaggio che accompagna Giac a Puntinia. Dopo questa prima avventura sarà coinvolto in una serie di eventi che lo portano ad incontrare i vari paesi di quadrati cerchi colori con i quali il pupazzetto dialoga e gioca».

In questa fase Elve Fortis ha già chiaro lo svolgimento del suo libro, dopo il quale nuove esperienze attendono la scrittrice e illustratrice, Verso la fine degli anni ’80 conosce, per esempio, Anna Lavatelli che si sta avvicinando alla scrittura per l’infanzia. Nasce un’amicizia e una collaborazione intense, pubblicando insieme per Mondadori Gioca la storia nel 1990, poi È arrivato un bastimento nel 1992, l’anno in cui, l’ l’8 marzo, muore in un giorno di festa per le donne di diverse generazioni, in cui la sua amica Anna scrive: «Se Elve potesse leggere queste mie righe adesso lo so bene cosa farebbe: scuoterebbe un po’ la testa e mi sorriderebbe bonariamente convinta che nel suo modo di agire non ci sia stato poi niente di tanto eccezionale perché lei era così e le veniva naturale di essere una donna in gamba».

Elve Fortis de Hironymis non è stata dimenticata. La Biblioteca Civica Negroni di Novara qualche anno dopo ha promosso una pubblicazione postuma dell’inedito Fantasma in biblioteca in occasione di un convegno e una mostra per ricordarla e in un recente convegno di “Nati per leggere” è stato annunciata l’intenzione di dedicare a lei la sezione ragazzi. A margine del convegno di ben quindici anni fa sulle pagine culturali del settimana “L’Azione” è stato scritto che un gattino azzurro di carta ha detto in quell’occasione più di molte parole: «Quel micio bluetto ritagliato nel cartoncino scoperto con sorpresa sul tavolo dei relatori da Anna Lavatelli per accompagnare l’attenzione sulla vocazione naturalissima di Elve Fortis a creare con la fantasia e così divertire grandi e piccini, quel gattino di carte ha detto proprio quello che forse spesso non si riesce a dire, quando si vuole parlare di una persona scomparsa, non soltanto geniale ma soprattutto sensibilissima che ci ha aiutato a vivere meglio e a crescere con estro i nostri figli. Così per gioco un giorno Elves Fortis ritagliò un piccolo gatto per le figlie dell’amica scrittrice camerese. Quel micino di carta è stato in piedi sul tavolo dei relatori al convegno ma non abbiamo detto che a qualcuno è parso che facesse le fusa perché una volta tanto, così per gioco e non solo per gioco, tanti grandi e tanti personaggi hanno capito che cosa significa seriamente far giocare i bambini con la fantasia. È avvenuto ed avverrà ancora grazie ad un’artista grande come il suo cuore di nome Elve».

 *Testo ricavato dalla trascrizione dell’intervento orale del relatore, senza aggiornamento o revisione delle citazioni testuali, dei nomi e della bibliografia.