Una vita in forma di dialogo. Marcella Balconi 1919-1999 – Francesco Omodeo Zorini

E’ giusto essere come succede ai debuttanti e alle debuttanti in palcoscenico un po’ emozionati; lo dico un po’ ironicamente ma è vero, perché parlare di questi argomenti,  di questa materia, non solo di Marcella, specie in noi uomini, il discorso cosiddetto “di genere”, induce ad una riflessione nuova, rigenerante. Va pur detto che alcuni di essi si sono interessati da tempo alla questione, allo scopo di crescere e conoscere che cos’era, che cos’è l’altra metà del mondo. E vorrei anche segnalarvi, non solo per la persona Marcella Balconi, ma considerato che parliamo di biografie di donne e insieme di uomini che hanno avuto e hanno volontà di miglior conoscenza, come ho vissuto e cosa penso della grandezza umana della donna, il mio scrapbook: 1967 l’anno prima.  Orgoglioso di dirvelo proprio perché il mio misero libro, in due anni, ha venduto soltanto le proverbiali manzoniane 25 copie.
Lì sta cosa penso per esempio di mia mamma, “matta” cantante lirica che fu sotto la bacchetta di Toscanini, la quale mi infuse la forza e la sicurezza di arrivare sin qui, benché attraverso sofferenze terribili tipo il decennio di lager infantile al civico orfanotrofio Dominioni. O cosa penso e cosa mi dice la mirandolina di Altopascio, da contadina a staffetta partigiana. O la ballerina a tariffa  Rosanette, o ancora e soprattutto la meteora, ereditiera di collegio svizzero, Eauclaire. O l’apostolica Margherita di Cimego, di Roggio Capello, compagna di Dolcino, arsi al rogo sette secoli fa.  
Torno alla grandezza umana femminile attraverso Marcella. Il parlarne ci conferisce dignità, è sollevare un urlo contro la dimenticanza.
Questo libro è nato all’interno dell’istituto, è stato curato prevalentemente da Giuseppe Veronica, che ha brillantemente sistemato in tre spezzoni complementari. E’ un lavoro che giudico molto bello e che a giudizio anche di chi ha conosciuto meglio di noi Marcella Balconi, come Giancarlo Grasso, lo psichiatra infantile che le fu al fianco e le subentrò, il quale dice “Quanto si poteva dare da un punto di vista pubblico e di ricerca qui c’è”. C’è la vita di famiglie dell’antifascismo miltante, intrecciate, che passa  attraverso i cugini Pajetta, alla cugina Mariolina Berrini che con lei e con Bollea fondarono la neuro psichiatria infantile italiana.
Nel libro ci sono anche interventi di Enrica Crivelli e Grasso, che sono stati suoi allievi e poi colleghi, ci sono i contributi di Elvira e di Jeannot Pajetta, di Claudia Banchieri altra cospicua famiglia con cui è apparentata la famiglia Balconi.
Marcella nasce a Romagnano Sesia in mezzo a due giganti di altro tipo ma di statura equiparabile. Questa nostra terra del rimorso, terra della dimenticanza. Marcella nata accanto a Carlo Dionisotti, il più grande studioso di Dante del secolo scorso alla Cambridge Universty di Londra. E nasce accanto a Giacomo Grai “Grano”, proletario che gira mezza Europa come lavoratore e come comunista attivo, passando in tante galere del continente, partito dal paese dove si curvava sulla terra, contadino viticultore e diventato rivoluzionario professionale in quell’Europa del nazismo e dei fascismi.
Vorrei attingere alla mia presentazione di questo libro dedicato a Marcella.
Per me Marcella è persona che travalica per l’impronta che ha lasciato, l’ambito comunitario locale e quello resistenziale. Nome dotato della capacità di far sollevare l’ammirazione per lei, anche a non appartenenti alla sua area culturale o politica. Molti che hanno protestato almeno il rispetto da parte di quella claque des goujats facili al disconoscimento e al discredito, come si è potuto toccare con mano, a proposito della vicenda, di poca decenza, della contestata proposta di intitolazione di una via cittadina a Marcella Balconi. Stigma e pregiudizio figli dell’ignoranza. Un passare l’aratro sulle pietre.
Medico, scienziata pioniera della mente infantile, docente universitaria aliena dai recinti autistici dell’accademia, trincerata nella propria parlance, educatrice sociologa e operatrice sociale.
Questa è Marcella.
Marcella è stata anche in Parlamento, amministratrice pubblica, comunista a tutto tondo e con la C maiuscola. Lo facciamo a 90 anni dalla sua nascita e a 10 dalla sua scomparsa. Di questa donna del “secolo scorso” che si è fermata alle porte, al limitare del terzo millennio, quasi riluttante a voler entrarci. 
Una personalità poliedrica quella di Marcella, ci induce a rovesciare il punto di osservazione consuetudinario dello storico. Non lo studio di un’epoca per capire l’opera e la persona ma l’inverso: l’opera della persona come punto di illuminazione di un’epoca. Freud parla di tre professioni iperbolicamente definite impossibili: quella dell’educare, quella del curare e quella del governare. Marcella Balconi le ha praticate tutte e tre in maniera esemplare, in modo autentico creativo complementare nel proprio il mestiere di pediatra e psicoterapeuta. Ma non solo, giacché le ha praticate in armonica fusione nell’arco dell’intera vita. E, ulteriormente, per traslato, si è spesa  nella terza delle professioni per cosi dire impossibili, quale leader politica,  parlamentare, amministratrice della cosa pubblica e ancor prima, prima di tutto come partigiana della libertà nelle brigate Garibaldi e, dato inusuale per una donna, a livello   di comando, tant’è che consegue il riconoscimento del grado militare di Maggiore, uno dei più alti gradi riconosciuti dagli Alleati ai partigiani.
Marcella va a fare la partigiana prima in Lombardia ma poi compie il grave errore di rilasciare una ricetta per un partigiano ferito e deve scappare. In Piemonte diventerà poi uno dei capi delle operazioni all’assistenza dal punto di vista medico. Marcella,  che, bambina, aveva assistito ad un colpo di rivoltella diretto al padre il primo maggio del 1922, andato ad uccidere l’operaio Giustina di Romagnano.
Ho lavorato con Marcella nella scuola oltre che nel Partito. Essa era iscritta alla nostra sezione di Porta Mortara, una sezione molto attiva di oltre duecento iscritti, sui generis dissidente, che aveva subito processi all’interno del partito, con espulsioni e allontanamenti.
Educare  è far evolvere da una condizione di dipendenza, trar fuori, liberare da impedimenti e menomazioni. Un procedere maieutico per progressive rotture di simmetrie. Laddove s-viluppo antepone ed oppone l’”s” estrattivo durativo al tardo latino voluppus, letteralmente “involto in paglia minuta”. Marcella conosceva fin dai vissuti di asfissia del neonato, di ansia claustrofobica, depressione anaclitica, la sua voglia compressa di esplorare, di uscire dal guscio di solitudine fantasmatica, aprirsi al mondo e distendersi verso il futuro.
Per di più li prendeva in esame (ma sarebbe stato più corretto dire su di sé) appesantiti da traumi di ferite ossidriche incise in creature implumi profanate dalla guerra, dalla sua violenza e distruzione. Un’infanzia assediata che mandava invocazioni d’aiuto afone, silenti sino al mutismo. Macigni per le fragili ossa di una libertà anch’essa bambina dopo la lunga degenza imposta dal fascismo, malattia autoinfettiva come l’herpes zoster. Una guerra che parlava tedesco: Todestrieb o pulsione di morte, spinta irriducibile e antiedonistica, nemica del piacere e della felicità, tesa alla negatività assoluta. Dunque non la tesi crociana del fascismo come incidente di percorso storico ma protratta latenza confermata.  
Lei era assistente di laboratorio biologico all’università di Pavia, era una testa matematica. Poi avverte il bisogno di dedicarsi ai piccoli dell’uomo e diventa pediatra alla celebre scuola di Piero Fornara. E quindi si sente incompleta sul piano civile e si dice no io devo fare la mia parte, la mia missione è anche di impegnarmi nella lotta partigiana. Dopo la guerra studia nelle migliori Università europee e si specializza in psichiatria. Devo aiutare i bambini a farli accedere alla loro vita attraverso anche la possibilità di accedere all’istruzione.
Marcella si è confrontata nel quotidiano con la fatica dell’incertezza dell’azione educativa. Non aveva dubbi che la conoscenza passa attraverso l’affettività. Non va da libro a libro ma da persona a persona, nel confronto con il presente. È li che si accenda la scoperta del fuoco dell’immaginazione. Una goccia nel mare? Ma è la goccia che scava la pietra. Aveva fiducia nelle funzioni introiettive dell’emotività che favoriscono la crescita, ossia  l’accoglienza, la capacità di contatto e di coinvolgimento, il generare amore e solidarietà, infondere speranza, contenere la sofferenza depressiva. Pensare come capacità di sentire. Solo l’altezza del sentire e la dignità del soffrire si possono opporre all’annientamento della persona.
Questo le donne lo sanno meglio di noi.
Aveva letto nel suo maestro Freud che “l’unica preparazione adeguata alla professione di educatore è un rigoroso apprendistato psicoanalitico”, che  “educatore può essere soltanto chi sa immedesimarsi nella vita psichica infantile. Dice il Battista di Gesù:  “Lui deve crescere, io invece diminuire”. Massima pedagogica che da vecchio insegnate di elementare condivido pienamente, che ogni educatore, maestro, genitore dovrebbe stampare sulla testata del proprio letto. I figli frecce scagliate nell’infinito non venuti al mondo per assecondare la nostra immagine, quasi sempre finalizzata alla realizzazione delle nostre frustrazioni. Essi devono vivere da sé e per sé, proiettati verso un ideale che compia la loro vita e ne coroni sogni e aspirazioni.
Curare o comprendere? Marcella, senza negare entrambe le funzioni, rispondeva: prevenire. Perché il suo lavoro era quello di sgrovigliare nodi, contraddizioni, difformità ma anche mettere in luce attitudini e predisposizioni, l’incidenza di variabili indipendenti, anticipare strutturando per come possibile un ambiente, un contesto sociofamiliare che promuova la salute mentale, la sua ecologia, lo star bene con sé e con gli altri. Questi sono gli asili, che l’altro giorno mi risulta nel massimo consesso della rappresentanza democratica di Novara “Ma a cosa servono gli asili?” è stato detto da qualche consigliere. Grave responsabilità dell’istituzione pubblica, responsabilità soprattutto nei confronti degli ultimi, gli emarginati, i reietti.
Sapendo che i più deboli, gli indifesi vanno a fondo per primi. Curare è assumere la tragicità della condizione umana. Nella mitologia greca Cura è l’affanno, la sofferenza che ti terrà in scacco finché vivrai. Da qui la necessità di essere permanentemente in ascolto esistenziale dell’educando-paziente per capirne la direzione di volo e sostenerne la dinamica vitale. Interpretare, decrittare, aprire varchi, affiancare, stabilire relazioni d’aiuto, accompagnare, supervisionare, restituire depurando. La cura analitica  è scienza ebraica: risponde a delle domande con altre domande.  Nel profondo siamo fatti di alternanti sequenze di lutto e riparazione. Asimmetrica espressione che lascia intravedere la genesi del sé in forma di piaga.
D’altronde Chirone, il centauro dio-medico, è lui stesso portatore di una ferita insanabile. Benché questo sé esulcerato non sia mai dato come entità definitiva ma piuttosto come picco, a tratti manifesto di ciò che affiora di quell’incessante work in progress delle complesse peovince del simbolico, dei significati dell’anima incorporati nel soggetto, nella persona, unica e intera.
In analogia all’archeologia l’analisi è procedimento di svuotamento, strato per strato, delle reminescenze rimosse di eventi penosi. Simile alla tecnica del dissotterrare una città sepolta. Nella vita psichica nulla si distrugge, ci insegnava Marcella, ma si reinseriscono frammenti apparentemente insignificanti in un contesto affettivo si senso. E’ scienza dei resti, degli scarti dell’osservazione. E’ elevare il frammentario allo statuto di imperativo etico-estetico, il frammento a opera d’arte a pieno titolo. La forma accidentale a vittima riscattata dall’oltraggio del dolore e del tempo.
Ecco Marcella ci ha illuminati su questa strada. Ci ha illuminati in una maniera che nel mondo della scuola a Novara non si avrà mai la possibilità e la capacità di renderle veramente omaggio e riconoscenza.
Ricordo Marcella quando negli ultimi tempi era così attonita davanti ad una politica  ormai patologizzata. Bisognerebbe ricordarsi che la paranoia, e lei lo sapeva bene per competenza professionale, è quella che domina questa società, il narcisismo assoluto, l’eterna adolescenza, l’eterno maschilismo patriarcale, di cui ci si assolve bellamente, ci viene dal più alto scranno dello stato, lascio fuori il buon presidente Giorgio Napolitano.
Le ho dedicato questa introduzione. Il libro invece parla a lungo e in profondità di lei e del suo contesto, di quella Marcella Balconi alla quale secondo me si attaglia il pensiero di Neruda che dice: “Le nostre stelle primordiali sono la lotta e la speranza” – questa parola “lotta” oggi troppo obsoleta – per quanto siano soprattutto le donne, molte donne ad applicarla ancora, per non essere sommerse da un mondo tutto declinato al maschile. E’ la potentia  pauperum contro la potestas imperii. “Ma non c’è lotta né speranza solitaria”, conclude il poeta, “In ogni uomo si sommano le epoche remote, l’inerzia, gli errori, le passioni, le urgenze del nostro tempo, la velocità della storia”.