Le donne negli archivi piemontesi: una prima mappa del territorio regionale – Sabrina Contini, Paola Novaria

Paola Novaria: Le province di Torino, Asti e Cuneo.

Intervengo in questa sede, insieme a Sabrina Contini, in veste di archivista incaricata del progetto di censimento che, nell’arco di sei mesi, ha toccato le otto province piemontesi  e proprio questo aspetto di estensione geografica vorrei sottolineare come primo punto di forza di una iniziativa, per una volta, non torinocentrica. Il capoluogo regionale anzi, pur presente, risulta la realtà meno coperta dall’indagine e meritevole di ulteriori approfondimenti, poiché i trentacinque soggetti ad ora coinvolti non esauriscono certo il compito e, per non fare che un unico esempio, è stato appena sfiorato l’ambito degli archivi privati. Sedici sono state le realtà con cui ho preso contatto nel Cuneese e sette nell’Astigiano. Approfitto di questa occasione per ringraziare tutte coloro che, nelle varie sedi, hanno offerto la loro disponibilità e collaborazione.

Nel censimento compaiono una serie di soggetti di per sé molto noti e sono segnalati archivi che sono già stati oggetto di studio e di cui anche in questa sede si è discusso (archivio Piera Zumaglino, Udi, archivi dei sindacati, dei partiti, GFT). Pare, tuttavia, un vantaggio non trascurabile quello di offrire, nella banca dati, un quadro d’insieme della presenza femminile negli archivi piemontesi, in cui, accanto ai grandi archivi istituzionali e alle fondazioni, compaiono realtà meno esplorate: l’Azione Cattolica, le Acli, gli archivi delle valli valdesi, il variegato mondo delle associazioni.

Rispetto alle tre province che ho percorso non proporrò un elenco di risultati, ma alcune riflessioni, che si riassumono, di fatto, in tre parole d’ordine: conservare, inventariare, valorizzare.
Perché la memoria delle donne si trasmetta e la loro storia possa essere scritta, prioritario è conservare e da questo punto di vista le associazioni, anche limitandoci a quelle storicamente radicate, sono soggetti a rischio. Molto spesso  (fatte salve alcune notevoli eccezioni, come l’Aidda o il Soroptimist) non è presente un vero e proprio archivio, ma le carte risultano disperse fra le donne che hanno ricoperto, negli anni, la carica di presidente (come nel caso, ad esempio, di Adei e Aidia). Anche il cambio di sede, per quelle associazioni che ne abbiano una, è occasione di dispersione. Soffermerò la mia attenzione su una realtà associativa cattolica solidamente attestata in Piemonte, il Centro italiano femminile. Con l’eccezione del Cif alessandrino, il cui archivio è andato perso a causa dell’alluvione, le varie sedi provinciali, come anche importanti realtà comunali (ad esempio Fossano) conservano le proprie carte. Si tratta, tuttavia, di un patrimonio documentario poco fruibile, dal momento che nessuno di questi archivi, risalenti al secondo dopoguerra, è stato riordinato e inventariato. Se Torino, Asti, Fossano sembrano conservare documentazione fin dalle origini (ma il condizionale è d’obbligo, stante l’impossibilità di verificare l’effettiva consistenza delle serie), altre realtà cuneesi hanno ben simboleggiato i rischi che corrono le carte, occasionalmente utilizzate per la stesura di opuscoli storici, ma non riordinate e inventariate: a distanza di una decina d’anni da una pubblicazione che li citava puntualmente, i documenti anteriori agli anni ottanta del Cif provinciale di Cuneo e l’archivio del Cif comunale di Saluzzo non sono risultati localizzabili dalle attuali presidenti. Un invito dunque alla Regione Piemonte, che negli anni si è dimostrata insostituibile sostenitrice degli interventi di riordino, affinché offra il proprio contributo per la salvaguardia di questi archivi, di indubbio valore storico e indispensabili fonti per ricostruire l’operato di donne di grande levatura (cito il caso dell’astigiana Francesca Baggio, presidente del Cif dal 1952 ai primi anni ottanta e promotrice di un gran numero di iniziative di assistenza. Diresse anche la Scuola femminile d’arti e mestieri, attivata dal Comune di Asti nel 1954, ed ebbe incarichi nella locale Azione Cattolica e nella Democrazia Cristiana).

Se gli archivi del Cif, con i limiti detti, sono stati localizzati e almeno sommariamente descritti, in quanto conservati da associazioni tuttora vive e operanti, ben più complesso, e risolto solo in parte, si è rivelato il compito di far emergere le carte dell’organizzazione femminile storicamente antagonista: l’Unione Donne Italiane (Udi). Con l’eccezione dell’archivio storico dell’Udi torinese, inventariato da Renata Yedid Levi e conservato dalla Fondazione Gramsci, e di quello dell’Udi pinerolese, conservato dalla locale Camera del Lavoro e di recente inventariato da Marina Brondino ed Anna Borgi, nelle province di Asti e Cuneo, a causa anche della debole presenza delle sinistre in quei territori, è risultato più complesso rinvenire le carte dell’Udi, della cui esistenza e attività alcune testimoni hanno riferito (le donne dell’Associazione Telefono Donna di Cuneo; Paola Sibille, ex-partigiana saluzzese). Allo stato attuale, dell’Udi cuneese sono emerse soltanto poche carte del 1960-61 nell’Archivio del Partito Comunista conservato all’Istituto della Resistenza e poca documentazione sulla rivista “Noi donne” (anni ottanta) nelle Carte Flavia Salvagno raccolte dal medesimo istituto che, per altro, conserva interessante documentazione negli archivi del Partito Radicale, di Democrazia Proletaria, del movimento Lotta Continua.

Simile la situazione documentaria dell’Udi astigiana, di cui si è trovata labile traccia all’Istituto storico della Resistenza, nei fondi del Partito Comunista (1950-66) e della Camera del Lavoro (1947-73).

Pare certo che altra documentazione potrà emergere soltanto dagli archivi privati di donne militanti, come lascia sperare una importante testimonianza raccolta da Sabrina Contini ad Arona, di cui dirà tra poco.
Dell’importanza di conservare, ma anche di riordinare e rendere fruibile la documentazione si è cercato di dire, utilizzando il caso di due importanti associazioni. Sul terzo imperativo di valorizzare, promuovere, far conoscere chiudo, accennando a due questioni.

La prima è che, quand’anche taluni archivi siano stati riordinati e inventariati,  non è stato del tutto scongiurato il rischio dell’oblio. Cito il caso delle Società di mutuo soccorso, già oggetto, anni fa, di uno specifico intervento promosso dalla Regione Piemonte e dalla Soprintendenza archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta: se l’archivio, cospicuo, della Società Artiste e Operaie di Cuneo, inventariato da Alessandra Demichelis, è parso una presenza ben radicata nella realtà culturale cittadina, non lo stesso si può dire per i casi delle Società di Alba, Luserna San Giovanni, San Maurizio, di cui con fatica è stato possibile localizzare la presenza sul territorio, pur avendo la disponibilità dei dati di schedatura, forniti da un ufficio regionale. L’esistenza di questi archivi non era infatti nota agli operatori di biblioteca, che hanno poi espresso la loro gratitudine per la segnalazione.

Le seconda questione, cui faccio cenno e lascio all’approfondimento di Sabrina Contini, che me ne ha fatto cogliere l’importanza, è come l’attenzione alla prospettiva di genere da parte delle direttrici di taluni istituti si riveli una variabile decisiva al fine della promozione di progetti di ricerca che conducono alla raccolta di testimonianze di donne e poi alla loro piena valorizzazione: mi limito a citare il caso della Fondazione Vera Nocentini, diretto da Marcella Filippa, e dell’Istituto piemontese per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea “Giorgio Agosti” di Torino, diretto da Ersilia Alessandrone Perona. Per quel che concerne la Fondazione Nocentini, va segnalato l’importante archivio di testimonianze orali, su audiocassette, gradualmente trasferito su CD: nato per preservare la memoria di sindacalisti e militanti, è stato poi arricchito in relazione a specifici progetti di ricerca, di cui alcune incentrati sulle donne: Scuola e memoria: i sindacati confederali della scuola dal ’68 al ’78, poi pubblicata; Enrico Miletto, Sotto un altro cielo. Donne immigrate a Torino: generazioni a confronto; ricerca e stesura del rapporto: Le differenze di genere nelle aziende: un problema aperto. Rapporto di ricerca, Torino, novembre 2003 (progetto coordinato e realizzato da Sara Giordanino, Fernanda Negro, Giovanna Spolti); ricerca e pubblicazione: Anna Badino, Stefania Doglioli, Fernanda Negro, Donne nella sanità e nel commercio : due modelli organizzativi a confronto nell’area metropolitana, Torino, 2004; ricerca storico-sindacale sul Gruppo Vallesusa poi pubblicata:  Maria Teresa Pocchiola Viter, Cotonifici… a rotoli. La parabola dei cotonifici Valle Susa. Memorie, donne e lavoro nelle valli torinesi nel Novecento, Ed. Angolo Manzoni, Torino, 2002.

Per quel che riguarda l’Istituto della Resistenza di Torino è doveroso ricordare almeno la banca dati  Donne nella deportazione piemontese, presentata in occasione della Giornata della Memoria (23 gennaio 2007), a cura di Barbara Berruti, Lucio Monaco, Carlo Pischedda, edita dall’Istituto. Si tratta di uno strumento dalle straordinarie potenzialità, che integra l’audio, il testo scritto, la bibliografia di riferimento. Questo progetto potrebbe fungere da modello per preservare e valorizzare, ad esempio, le testimonianze raccolte nell’Archivio Piera Zumaglino.
 

Sabrina Contini: Le provincie di Alessandria, Vercelli, Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola

L’attività di censimento è stata svolta, da parte mia, per lo più nel nord-est del Piemonte, nell’area compresa tra le province di Alessandria, Biella, Novara, Vercelli e del Verbano-Cusio-Ossola. Una realtà territoriale quanto mai difforme per le caratteristiche della vita istituzionale e il contesto economico-sociale, ma piuttosto omogenea se si considerano le possibilità offerte in loco di acquisire, conservare e valorizzare il patrimonio archivistico e documentario in generale e le dinamiche con cui esse vengono realizzate. Esse trovano, infatti, un denominatore comune nella presenza di realtà istituzionali, in primo luogo Archivi di Stato e Istituti storici della Resistenza, deputati per legge alla conservazione di fondi archivistici, alle quali si affiancano altri enti pubblici o privati (fondazioni, centri di documentazione e di studio) che per statuto si propongono come altri punti di riferimento per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio documentario. Rispetto ai temi del censimento, come già anticipato da Paola Novaria, si è notata una rilevante differenza nella quantità e qualità della documentazione raccolta, laddove gli enti riescono a diventare veri e propri “catalizzatori” per la cultura locale e nel farlo sono attenti alla prospettiva di genere. Essi cioè si impegnano nell’ambito delle loro attività non solo nell’individuazione e conservazione di fondi già costituiti, ma anche nella ricerca e nella raccolta di testimonianze e memorie femminili e, dunque, nella creazione di importanti nuclei di fonti per la memoria futura. È questo il caso, per esempio, del Centro di documentazione della Camera del lavoro di Biella, sulla quale ritornerò, o dell’Istituto storico di Alessandria, che hanno fatto propria anche la consapevolezza dell’importanza nell’ambito della ricerca in storia contemporanea delle nuove tipologie di fonti, in primo luogo quelle audio-visive. In particolare, per quanto riguarda l’Istituto storico alessandrino, mi sembra significativo sottolineare soprattutto la sua azione di stimolo già da anni con l’organizzazione di convegni e laboratori sul tema di genere, ricerche sui movimenti femminili degli anni ’70, individuazione e conservazione di archivi di collettivi femministi, impegno ben evidente già solo dall’ultimo numero della rivista dei Quaderno di storia contemporanea dedicato proprio alle storie di genere.
Fatta questa premessa cercherò di illustrarvi brevemente, in un primo momento, alcuni casi riguardanti le province di cui mi sono occupata, che possano mettere in evidenza indirettamente anche il diverso peso e il ruolo nelle varie province degli istituti di conservazione, di cui si è appena detto. In un secondo momento, invece, mi soffermerò sulla realtà delle associazioni, con particolare riferimento all’UDI  e al CIF.

 Partendo dalla punta nord del Piemonte, in provincia di Verbania, che tra l’altro è una provincia di recente istituzione, la presenza di pochi istituti di conservazione ha fatto sì che molte carte anche private siano confluite nella locale sezione di Archivio di Stato. Nel verbano, infatti, accanto a questo esiste solamente la Casa della Resistenza, un ente culturale costituito con l’obiettivo di promuovere i valori della Resistenza e in possesso di un patrimonio archivistico non da poco, quanto a consistenza, che però è tuttora in stato di disordine e perciò non accessibile né consultabile. Considerato il ruolo avuto dalle donne durante la Resistenza in quei luoghi, (cito un nome ben noto, Gisella Floreanini), non è escluso che il riordinamento e l’inventariazione possano aggiungere materiali a quelli già presenti, schedati e consultabili a Novara, presso l’Istituto storico della resistenza di Novara e del VCO con cui, peraltro la Casa della Resistenza collabora attivamente. Tornando all’Archivio di Stato, dunque, tra i molti archivi privati è apparso molto interessante il fondo denominato “Villa Caramora”. Il fondo, non ancora oggetto di studio, è certamente interessante ai fini di una eventuale ricerca di “genere”, se si considera che gran parte della documentazione è stata prodotta tra gli anni venti e gli anni cinquanta, da una donna, Amalia Muller, appartenente a una famiglia di origine svizzera, trasferitasi a Pallanza alla fine dell’Ottocento. Sposatasi con un importante ingegnere di Verbania, Giovanni Caramora, rimane vedova ancora giovane, eredita le proprietà del marito, si occupa degli affari di famiglia e cresce le tre figlie che rimangono tutte nubili. L’archivio raccoglie in una cinquantina di buste documentazione di vario tipo (lettere private, affari, corrispondenza, spese di casa, carteggi con la famiglia di origine) che riflette la quotidianità di questa famiglia, tutta al femminile, con molti ricordi di viaggio, lettere che le quattro donne si scambiavano, fotografie (Amalia era anche un’appassionata fotografa) vissuta in un periodo storico travagliato, quello tra le due guerre e il primo dopoguerra, che entrò fin dentro le mura della villa, se consideriamo il fatto che durante l’occupazione tedesca fu occupata e utilizzata come comando delle truppe nazi-fasciste.
Restando sempre nel nord della regione, passando alla provincia di Biella, questa è certamente la più ricca tra quelle da me incontrate, di istituti pubblici e privati che si dedicano alla conservazione del patrimonio documentario tra cui si possono ricordare, oltre all’Archivio di Stato e all’Istituto per la storia della Resistenza (che è condiviso con la provincia di Vercelli), il Centro di documentazione della Camera del lavoro di Biella, la Fondazione Sella, il DocBi – Centro studi biellese, con la sede della Fabbrica della ruota di Pray,  che conserva molti degli archivi delle storiche aziende tessili, la rete degli Ecomusei, e, infine,  il Centro studi – Generazioni e luoghi, di recente istituito attorno agli archivi della famiglia La Marmora. Un insieme di enti che, elemento decisivo, sono stati in grado negli anni di lavorare in rete promuovendo progetti di ricerca in comune e trovando nell’Archivio di Stato il centro di questa fitta rete di luoghi di conservazione, le cui maglie sono rappresentate da comuni, enti, istituzioni, fondazioni, privati. Ciascuno di essi conserva fondi documentari con caratteristiche proprie, ognuno dei quali si può considerare elemento fondamentale per la rappresentazione di parti del territorio, ma anche riflesso della sua evoluzione nel tempo.
Tra questi, che hanno in misura diversa offerto tutti materiale al censimento, si distingue il Centro di documentazione della camera del lavoro di Biella, che dal 1981 raccoglie l’insieme delle carte prodotte e ricevute dalla Camera del lavoro e dai sindacati di categoria nel corso della loro attività, dalle Società operaie di Mutuo soccorso di metà Ottocento agli archivi sindacali confederali e di categoria della Cgil, fino ai giorni nostri, tra cui rilevante per uno studio dell’occupazione femminile è quello dei tessili, archivi di partito e industriali, archivi personali. Nel 1991 la Soprintendenza ai Beni Archivistici del Piemonte ha conferito l’attestato di “archivio di notevole interesse storico“, sottoponendolo alla tutela del Ministero dei Beni culturali.

Le donne sono protagoniste in molti di questi fondi. Per fare qualche esempio:
– CARMEN FABRIS, prima sindacalista e poi consigliera regionale dal 1975 al 1985 circa, ancora oggi attiva come volontaria presso il Centro di documentazione.
– ALBA SPINA (morta nel 2001), esponente del movimento operaio biellese, condannata dal tribunale speciale per la sua attività anti-fascista e, dopo la guerra, amministratrice e membro dell’UDI.
– UDI di Biella dal 1945 al 1984 che però conserva soprattutto materiale fotografico (200 – 300 foto e fotogrammi di “propaganda” femminista).
– Archivio del Collettivo femminile Mafalda, attivo nel biellese negli anni ’80.

Oltre a raccogliere fondi già di per sé costituiti è importante l’attenzione alla prospettiva di genere presente nei progetti promossi dal Centro di documentazione della Camera del lavoro che, come già detto, ha portato alla creazione di nuovi fondi come quello, iniziato nel 1990, che ha permesso la raccolta di testimonianze e storie di vita di operaie tessili e sindacaliste, con 500/600 ore di registrazione da cui è stato tratto il recente volume In greggio e fino o un altro ancora in corso (“Da immigrata a cittadina”), che sta diventando che riguarda il tema dell’immigrazione con testimonianze di donne che giungono a Biella in seguito al ricongiungimento familiare o per lavoro.
Se scendiamo verso il centro nella zona del Piemonte orientale (Alessandria, Novara e Vercelli) abbiamo la presenza di Archivi di Stato molto ricchi all’interno dei quali non sempre è facile enucleare i fondi di interesse, cosa che si è cercato di fare nei limiti del possibile, limiti dovuti soprattutto a riordinamenti in corso, inventari risalenti a diversi anni fa, a volte poco analitici. Quando, al contrario, in queste realtà si può accedere a inventari analitici e frutto di recenti riordinamenti i risultati sono molto positivi (esempio recente Inventario dei fascicoli penali del Tribunale di Varallo 1900-1923 promosso dall’Archivio di Stato di Vercelli con possibilità di accedere alle pratiche relative ai processi, anche di diverse donne, per gli scioperi  nelle manifatture degli anni venti). Fondamentali per la ricerca di “genere” negli Archivi di Stato sono risultati tutti quei fondi istituzionali come le prefetture, gli Enti nazionali assistenza lavoratori (ENAL), le ONMI che possono essere fonti utili per affrontare temi legati alla donna vista nell’ambito del lavoro, della maternità, dell’assistenza. Un nucleo tematico ricorrente in questi fondi è, per esempio, date le peculiarità economiche e storiche del territorio, quello dell’assistenza delle mondariso.

 Passando al livello delle associazioni è sicuramente emerso anche nelle province da me visitate il ruolo molto significativo di realtà come i Cif (presenti e ancora attivi a Novara, Vercelli, Omegna) riguardo ai quali non ho nulla da aggiungere a quanto già detto da Paola. Per quanto riguarda l’UDI, l’unica realtà ancora attiva è quella novarese, che possiede l’archivio però solo dagli anni ’70 non ordinato, e nemmeno in apparenza a rischio, ma che andrebbe in qualche modo certamente valorizzato. Le carte delle altre sezioni, esistenti fino a qualche decennio fa, a parte il caso biellese, o sono andate disperse (come ad Alessandria di cui anche l’Istituto storico così attivo non riesce ad avere notizie) o riemergono solo in parte e in modo molto frammentato in alcuni fondi degli istituti storici di Novara e Vercelli-Biella. La speranza, a questo proposito, con cui mi avvio alla conclusione, è che molto si possa recuperare attivandosi nel contattare e incontrare donne che conservano nel loro spazio privato la memoria della loro militanza nell’UDI. Una memoria non solo fatta di ricordi e racconti orali, che varrebbe certamente la pena di registrare prima che sia troppo tardi, ma anche di documenti, fotografie, volantini, riviste, verbali, appunti dei corsi, bozze e schemi di progetti, carteggi con gli enti pubblici per la questione dei consultori, documenti delle campagne sui referendum storici. Insomma tutto ciò che ho potuto vedere a casa della signora Mirella Valli, che ho avuto la fortuna di incontrare ad Arona, presidente della sezione locale dell’UDI fino a che è stata attiva, e donna attiva in politica ancora oggi, all’età di 80 anni, come presidente della Consulta femminile comunale, che nel 1976 aveva promosso e costituito insieme ad altre amministratrici, anche di posizioni politiche diverse, come ha voluto sottolinearmi, impegnata nelle questioni locali e capace di “perdere la testa”, come mi ha confessato, tutte le volte che sente parlare di “questioni femminili”, tanto da invitarmi a casa sua superando ogni diffidenza comprensibile.

 Abstract:
L’esperienza del censimento condotta tra settembre 2006 e marzo 2007 nelle otto province piemontesi, se pure non abbia esaurito il compito di far emergere i fondi documentari novecenteschi di interesse per una storia di genere, ha consentito di creare una prima mappa della presenza femminile nelle carte conservate sull’intero territorio regionale. Tale presenza è stata indagata tanto negli archivi istituzionali quanto in quelli dei partiti, dei sindacati, delle organizzazioni di categoria, delle associazioni femminili, con alcuni interessanti approcci anche ad archivi privati. Si è notata una rilevante differenza nella quantità e qualità della documentazione raccolta laddove gli enti, soprattutto gli Istituti storici, veri e propri “catalizzatori” per la cultura locale, sono attenti alla prospettiva di genere nelle loro attività e si impegnano non solo nella individuazione e conservazione di fondi già costituiti, ma anche nella ricerca e nella raccolta di testimonianze e memorie femminili e, dunque, nella creazione di importanti nuclei di fonti per la memoria futura. È questo il caso, per esempio, del Centro di documentazione della Camera del lavoro di Biella o dell’Istituto storico di Alessandria. Accanto a fondi documentari già noti e posti al sicuro, almeno sotto il profilo della conservazione, presso archivi istituzionali, sono emersi anche archivi importanti non ancora inventariati, meritevoli di interventi di riordino che scongiurino il rischio di dispersione e ne consentano fruibilità e valorizzazione. Si accennerà ai casi del Cif e dell’Udi.

Sabrina Contini
Archivista diplomata nel 2003 presso l’Archivio di Stato di Torino e storica di formazione, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia della società europea in età moderna nel 2006. Dal 2004 coniuga l’attività di ricerca con la partecipazione a progetti di riordino di archivi storici e valorizzazione del patrimonio culturale come libera professionista.

Paola Novaria
Ha conseguito la laurea in Lettere Classiche presso l’Università di Torino nel 1996 e un master in Gestione degli archivi degli enti pubblici presso l’Università di Padova nel 2005. Archivista diplomata, dal 1999 opera nel settore della gestione dei beni archivistici e librari. È responsabile del servizio archivistico dell’Università di Torino
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