L’archivio del GFT-Gruppo Finanziario Tessile – Jolanda Bonino

L’archivio del GFT, di questa grande azienda piemontese composta prevalentemente da donne,  è un Archivio Storico, la cui  rilevanza è stata ufficialmente riconosciuta già nel 1989 dalla Soprindentenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta.
Affidato in custodia presso l’ archivio di Stato di Torino, prima della scomparsa definitiva del GruppoGFT,  rappresenta sicuramente una memoria salvata, un lascito permanente di documentazione priva di forme autoapologetiche.

Diversamente da altre famiglie di imprenditori, i Rivetti, già nei primissimi anni ’80, ritennero opportuno  avviare un’opera di sistemazione e assetto stabile delle fonti documentali del GFT,  consapevoli che la storia è uno strumento indispensabile per ogni organizzazione che vuole “ricostruire il senso della propria traiettoria” evitando però che essa scada “in  un veicolo per celebrare e attribuire dignità a un certo orgoglio aziendale, a una memoria del passato che paghi del richiamo dei successi conseguiti”.[1]

In questo senso l’archivio del GFT è da considerarsi una “Memoria salvata” perché è diventata memoria pubblica, e, a  differenza di quella privata, che segue altri criteri,  essa risulta essere un patto per il quale ci si accorda su ciò che è importante trasmettere alle generazioni future ,  salvaguardando in tal modo l’obiettività della storia.

A partire dal 1986, il GFT affrontò lo stato di  frammentarietà e di dispersione dei suoi archivi  aziendali,  avviando un progetto di censimento, salvaguardia, e sistemazione dei materiali custoditi nei suoi molteplici depositi aziendali. Questo fu possibile perché Marco Rivetti, che era rimasto affascinato dalla lettura  di “L’uomo senza qualità”, di  Robert Musil, in cui veniva tracciato il profilo di un magnate d’industria che voleva dare un’anima al capitalismo, stava rendendo  partecipe l’azienda ad un processo, ad una vita culturale che facesse da contrappunto alle notevoli risorse materiali prodotte dal GFT.

Questo progetto, a cui partecipai direttamente, si concluse nel 1994 quando la proprietà passò alla HDP, holding finanziaria, che avendo altri interessi, rinunciò alla conservazione della memoria. La brusca interruzione del progetto comportò, oltre al mancato completamento della prevista stesura definitiva degli elenchi, anche il mio  allontanamento dal progetto, con l’affidamento di altre mansioni all’interno dell’azienda stessa.

Prima di questo evento, mi dedicai al salvataggio della molta documentazione rimasta, che sarebbe andata dispersa, o, peggio ancora,  distrutta, inventariando e inscatolando velocemente più materiale possibile. Neanche le  richieste di aiuto da me inoltrate ad Associazioni, Enti e Fondazioni riuscirono a modificare la situazione. Tentai anche attraverso una vertenza  alla Magistratura del Lavoro (giunta pure in Cassazione)    , ma neanche questa via non servì a garantire il proseguimento del progetto.
Fu così che, in vista di una ennesima ristrutturazione e per impedire eventuali rischi di sovrapposizione della memoria storica delle due istituzioni,     il GFT e HDP,  che andranno a succedersi l’una all’altra, l’Archivio del GFT venne man mano trasferito presso l’Archivio di Stato di Torino, avvalendosi del DPR 1409 del 30 settembre 1963.

Attualmente l’archivio è in buono stato di conservazione, ha una consistenza di oltre 800 mt. lineari ed è suddiviso in tre filoni principali:
–    GESTIONE AZIENDALE
–     PUBBLICITÀ e COMUNICAZIONE
–     PRODOTTO
a cui corrispondono circa 250 Fondi Archivistici a loro volta suddivisi in sezioni.  E’ composto da circa 6800/7000 unità che comprendono scatole, buste,  registri e faldoni di documentazione cartacea, gestionale, materiale pubblicitario e iconografico, stampati, brochure, manifesti, riviste, fotografie, filmati e video. Vi è pure una significativa raccolta riferita al prodotto  con campionari e cartelle tessuti, schede di lavorazione e disegni di figurini di molte collezioni.

Del comitato scientifico, presieduto da Marco Rivetti, fecero parte Anna Martina, Roberto Balma, Giancarlo Sivornino e la sottoscritta, per il GFT, Giuseppe Berta (docente  di storia economica alla Bocconi e storico d’impresa), poi   Grazietta Butazzi   (storica del costume) ed Elsa Golzio Aimone (docente di moda e costume).

I criteri  adottati per la raccolta, selezione e scarto dei materiali eccedenti furono un mix  fra esigenze aziendali  (funzionali al collegamento tra archivio storico e archivio corrente) e  criteri pubblici, dal momento che sin dall’inizio era molto chiaro che l’Archivio sarebbe diventato un bene pubblico. Questi criteri sono poi stati rivisti ed adattati man mano che si presentavano problemi di conservazione e fruibilità dei documenti.

Alla rigidità selettiva dello scarto si è preferito conservare in eccesso piuttosto che distruggere materiale; ad esempio si è deciso di tenere, ove possibile,   tre  copie dello stesso soggetto per stampati e manifesti in modo da preservare la copia d’archivio, nel caso di prestiti per pubblicazioni, esposizioni e mostre.

Gli elenchi sono al momento inconsultabili e taluni sono pure redatti a mano, con numerosi appunti e rimandi, a seguito dei sette traslochi subiti dall’Archivio Storico nelle diverse sedi assegnate all’interno dell’azienda, che ne hanno  modificato le varie numerazioni. Essi risultano, quindi, di difficile comprensione e necessitano di una revisione e sistematizzazione definitiva con relativa  informatizzazione.

C’è chi ritiene che i confini della trasmissione della documentazione alle generazioni future  debbano essere fluidi e dinamici in modo da poter essere rivisti e modellati durante le differenti fasi che scandiranno la storia; viceversa altri ritengono che essi debbano essere più rigidi. Ci si pone, perciò,  il problema se è bene che l’Archivio di Stato di Torino metta a disposizione della collettività la sua preziosa documentazione, previa integrazione dell’apparato di consultazione, oppure se sarebbe meglio aspettare ancora.

Se da un lato la completa salvaguardia e custodia del materiale accuratamente conservato è una sicura garanzia per gli studiosi delle generazioni future, dall’altro  non rendere possibile, per ovvie ragioni, la sua fruizione attuale può essere un grande limite per lo studio di una vicenda ormai  conclusa.

Se, e quando, l’archivio sarà disponibile, infatti, racconterà momenti e fatti di una storia  industriale,  di una storia di persone, di cui la stragrande maggioranza donne,   storia   c h e    n o n  è ancora stata considerata.
Diverrà l’unica struttura esistente in Piemonte in grado  di far ripercorrere con una profondità storica sia una cultura industriale dissimile da quella che si è espressa nel ciclo dell’auto  e metallurgico, sia una cultura del lavoro che dette visibilità a molti lavori femminili, manuali e intellettuali     e   che costruì e anticipò molte strategie e politiche sindacali non solo  a favore delle donne, ma dell’intero movimento operaio e sindacale, mettendo in luce le contraddizioni della globalizzazione, della delocalizzazione e del rapporto donne-uomini..

E’ una storia che fa restare di stucco se si pensa come il destino del GFT abbia contribuito ad influenzare il contrasto fra l’affermazione dei diritti sociali e sindacali dell’ Occidente e la negazione di questi diritti in Cina, India e in altri paesi (dove il GFT costruì diversi stabilimenti ), che, anche per questo sono diventati concorrenziali e leader nel mondo.  E’ un pezzo di storia  significativa e creativa che potrà arricchire studi di genere  di diverse discipline perché si presta a molteplici letture.

Il GFT ha del resto influenzato la storia internazionale della moda, del costume e della città perchè non ebbe solo un ruolo guida nel settore dell’abbigliamento ma seppe anche sviluppare interessanti collaborazioni con forti personalità di stilisti, artisti e architetti di fama mondiale.

Questo pezzo di storia, mettendo in evidenza che è stato il GFT a far nascere il SAMIA (Salone Mercato dell’ Abbigliamento Italiano) proprio a Torino, città che così divenne capitale della moda,  può contribuire alla riqualificazione dell’immagine della Città e della Regione nel mondo.

I  centocinquanta anni di storia del GFT riflettono  un vero modello di azienda “bricoleur”.  Dalle sue origini, che risalgono al 1865, al suo epilogo, nel 2003, il GFT ha proceduto prima per incastri, rifondazioni, fusioni, acquisizioni, incorporazioni di attività e aziende e poi, dal 1990 ha dato inizio al suo declino,  attraverso scorpori, cessioni e dismissioni di stabilimenti, attività e marchi mostrando anche il volto crudele dei licenziamenti, nonostante le relazioni industriali  fossero, di solito, improntate sul rispetto reciproco delle parti sociali.

E’ una storia di globalizzazione che evidenzia l’evoluzione ma anche l’arretramento di molti diritti acquisiti,  tra vecchie e nuove strategie di flessibilità, tra vecchi e nuovi ruoli di lavoratori e lavoratrici, di consumatori e consumatrici nella storia dell’ occidente e delle nuove frontiere del mondo.

E una storia assai affascinante che offre  anche spunti per rappresentazioni televisive, cinematografiche e teatrali.
E’ una storia,  unica e irrepetibile che intreccia storie di  vita di molte donne, uomini, famiglie imprenditoriali ma soprattutto famiglie di lavoratrici e lavoratori che hanno sperimentato condizioni e modalità di lavoro differenti dal modello tradizionale e che hanno vissuto l’entusiasmo  del boom economico ma anche l’alienazione del lavoro parcellizzato e a cottimo, oltre alla sofferenza e alla disperazione dovuta alle pesanti crisi sociali, aziendali e  del settore tessile.
E’ una storia che ha rivoluzionato il modello di vita di tante persone, non solo del GFT ma anche dell’ indotto e dell’intera regione.
E’ inoltre una storia di immigrazione dal Sud, dal Centro Italia, dal Veneto, una storia ricca di emozioni e di sentimenti, che racconta l’emancipazione femminile conquistata attraverso la dignità del lavoro.
In archivio sono presenti testimonianze e fotografie suggestive di molte giovani donne,  che vennero chiamate in fabbrica e che provenivano dalle campagne piemontesi dell’ astigiano, del chierese, del cuneese e del canavese. Vi sono raccolte significative di fotografie che rappresentano la complessa manualità sartoriale delle donne.

Vi è poi una intera sezione dedicata ai Colletti Rosa e cioè alle segretarie e impiegate del GFT, di quelle donne che hanno conservato scrupolosamente documentazione preziosa e utile per colmare parecchie lacune e che ora, appartenendo alla generazione “overanta” non riescono più a ricollocarsi nel mercato del lavoro.

Più precisamente,  è una storia al femminile,  che deve essere valorizzata perché può mettere in risalto tante zone oscure che da sempre hanno obnubilato la storia delle donne.

Attraverso il GFT noi donne abbiamo conquistato diritti, dignità, identità e anche benessere.  Qui sono nate le prime strategie femminili e sindacali di liberazione, emancipazione e di cambiamento che hanno contribuito ai profondi mutamenti nella cultura di genere e nei ruoli sociali.

Qui si sono anche sviluppate le prime lotte sulla salute e sull’ambiente di lavoro e le donne con le loro rappresentanti sindacali sono state delle protagoniste di tutto rilievo.
Il GFTrappresenta, quindi, una delle più importanti storie del lavoro, di relazioni industriali in grado di offrire una lettura anche al femminile  ampliando così la visione di storia economica del nostro paese.
E’ inoltre  importate rilevare che il GFT con 18 impianti in Italia e nel mondo (dalla Cina alla Germania, alla Cecoslovacchia, agli Stati Uniti, al Messico) dette lavoro a oltre 11.000 persone, di cui l’80% erano donne.

Il GFT nacque da due circuiti economici regionali a lungo distinti, quello ebreo della distribuzione di stoffe e tessuti (i LEVI) e quello biellese dell’industria laniera (i RIVETTI) che decisero di confluire in un unico scenario industriale: il GRUPPO FINANZIARIO TESSILE.

Venne scelto proprio Torino e  il Borgo Dora, come sede principale, perché si poteva sviluppare la forza motrice idraulica del fiume Dora e il suo legame con le bialere e i canali della zona.  Altri stabilimenti erano dislocati in varie zone della città, nella sua provincia  come a Settimo Torinese, Bosconero e Chieri e in gran parte del Piemonte, da San Damiano d’Asti a Racconigi.

     Oltre la produzione esistevano altri due settori legati alla distribuzione. Uno era il Ramo Pacchi che agiva attraverso due organizzazioni di vendita di tessuti alle sartorie: le Fabbriche Riunite, con sede a Torino, e la SIM ARBITER, con sede a Milano, ma entrambi presenti in tutta Italia.   Il cliente finale poteva così scegliere presso il suo sarto abituale il modello che preferiva, consultando le riviste, realizzate dallo stesso settore: Vestire, Tema Uomo, Renel.

L’altro settore era la D.D.D. (Direzione Distribuzione Diretta) che raggruppava tre catene di centri distributivi al dettaglio. La più importante era  la MARUS (Magazzini Abbigliamento Ragazzo Uomo Signora) dislocata in tutta Italia secondo il criterio di ubicazione dei grandi magazzini, l’altra era quella dei negozi Alfa (che poi prese il nome di A. Confezioni), anch’essa presente in tutto il paese e che seguiva il criterio di dislocazione dei magazzini a prezzo unico, in quanto si rivolgeva ad un pubblico di acquirenti di tipo medio-inferiore. La terza, infine, era la Re.Ve.Di. (Reparto Vendita Dipendenti), ora di proprietà di Mariella BURANI,  che negli anni’80 aveva una decina di outlets.

Il GFT viene considerato la FIAT delle confezioni in serie perché negli anni ’60, riuscendo a vincere su  quella mentalità così intransigente, rigida e gelosa di abitudini e consuetudini quasi secolari,  che riteneva  che nel peso della lana stesse la qualità del tessuto,  e, che l’abito lo si  poteva far confezionare solo dal sarto di fiducia,  dette l’avvio alla produzione di massa.

Con il rilancio, nella seconda metà degli anni’50, del marchio FACIS (Fabbrica Abiti Confezioni in Serie) attraverso i famosi manifesti di Armando Testa quelli dell’omino che corre, il GFT lanciò la confezione maschile diffusa su vasta scala.
Il GFT fu la prima azienda italiana a produrre gli abiti in serie; così, misurando un campione rappresentativo della popolazione maschile italiana degli anni ’50, codificò ben 120 taglie che riuscivano a vestire praticamente tutti: snello, corto, panciuto, lungo, mezzo forte.
Sul versante dell’abbigliamento femminile, nel 1961 creò il marchio CORI e fu una vera rivoluzione considerare l’abito pronto un vero prodotto di moda.
Il Gruppo riuscì così ad imporsi nel mercato interno e internazionale anche perché raggiunse  una posizione di monopolio, di leadership predeterminando le linee della moda attraverso accordi, come ad esempio quello di Biki con l’alta moda e attraverso le numerose partecipazioni a mostre mercato.

Un’altra strategia vincente fu quella degli anni ’70 e’80, quella che vide l’avvento in Italia e poi la diffusione nel mondo di griffe e marchi degli stilisti, i quali sposarono la loro creatività al sapere  industriale e distributivo del Gruppo GFT. Tutti  ricordiamo i nomi di Valentino, Armani, Ungaro, Trussardi, Soprani, Louis Feraud, Pierre Cardin, Calvin Klein, Claude Montana, Massimo Osti, Christian Dior, Joseph Abboud, J. Taverniti, Chiara Boni e altri ancora.

 [1] Giuseppe Berta, Relazione per il Comitato Scientifico, Torino 1984, Archivio Storico del GruppoGft in Archivio di Stato, piazza Mollino, Torino

 Abstract:
L’Archivio GFT è preziosa memoria salvata di una vicenda industriale, ormai conclusa, che affonda le radici nell’Ottocento e che ha percorso il Novecento seguendone l’evoluzione economica e sociale e, in particolare, lo sviluppo del secondo dopoguerra con l’affermazione a livello nazionale dell’abito pronto e, negli anni ’80, il lancio degli stilisti e del Made in Italy nel mondo. L’Archivio documenta le molte e articolate anime dell’industria: la gestione aziendale, la comunicazione, il prodotto e offre spunti e testimonianze della storia del lavoro femminile, delle lotte sindacali, storie individuali e collettive sullo scenario di Torino e del Piemonte. Ora la documentazione è conservata presso l’Archivio di Stato di Torino in attesa di essere studiata, ulteriormente riordinata e, si spera, presto accessibile alla consultazione delle studiose e studiosi. E’ un pezzo di storia significativa e creativa che potrà arricchire molti studi di genere di diverse discipline perché si presta a molteplici letture.

Jolanda Bonino. Laureata in Scienze Politiche con tesi “Strutture e politiche di genere nel sindacato”, ha lavorato 30 anni al GFT e in ultimo ne ha curato l’archivio storico.  Componente  della Consulta Femminile di Torino e del CO.RI.PE Piemonte, ha maturato esperienze nel movimento delle donne, nel sociale e nel sindacato sulle Pari Opportunità e sulla disabilità visiva. Ha pubblicato articoli, studi e ricerche fra cui:
– ” Carmen Casapieri, frammenti di vita. Testimonianze e documenti. Profilo di una sindacalista di frontiera”, Lupieri Editore, Torino, novembre 2005;
– “Il caso GFT” in  “Quaderni del lavoro” n.2
– ” La Consigliera di Parità Provinciale”, Torino, 2004;
– “L’Archivio storico del Gruppo Gft Spa di Torino” in “Archvi e Imprese”, n  16, Fondazione ASSI di Storia e Studi sull’Impresa, Il Mulino, anno VIII, Bologna, dicembre 1997